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Cenni e strategie di White Label per Banche

Aggiornamento: 31 dic 2020

In un anno come questo, la pandemia ci ha costretto a modificare i nostri rapporti con la banca, prediligendo canali digitali, con un aumento considerevole di operazioni, transazioni e acquisizioni di clienti avvenute online; ormai appare inevitabile il passaggio definitivo da parte degli istituti creditizi ad una struttura più digitale e interconnessa. In realtà, il settore ha già visto l’arrivo di una moltitudine di tecnologie adottabili per questo scopo, spesso ideate da soggetti terzi. Diviene quasi naturale, con queste premesse, constatare come il White Label Banking venga in aiuto sia agli Istituti Bancari tradizionali e già esistenti come alle società del mondo Fintech.


Ancor prima della pandemia si era visto un processo di innovazione continuo e costante da parte del settore bancario, il quale è stato anche influenzato da tecnologie sviluppatesi in contemporanea: il Cloud, ad esempio, ha portato allo sviluppo di diverse architetture informatiche conosciute con il paradigma XaaS (le più conosciute sono Software-as-a-Service e Platform-as-a-Service). Non vi è dunque motivo per non erogare anche i servizi tipici del mondo finanziario attraverso questa tecnologia, digitalizzando il settore attraverso il paradigma Banking-as-a-Service; in questo modo vengono estesi i servizi bancari al di fuori dei rami tradizionali, portando i clienti a vivere esperienze mobile e web. Anzi, le novità introdotte dalla direttiva hanno creato opportunità ma anche pericoli per gli istituti bancari, con il pericolo di non riuscire e a seguire gli sviluppo del mercato e quindi scomparire: vi è stato quindi un aumento esponenziale degli investimenti delle banche in IT dal 2018 in poi.


In questo contesto, la logica di rebranding conosciuta come “White – Label” diviene ancora più vantaggiosa per gli Istituti Bancari come dimostrato dall’Osservatorio Fintech e Insurtech del Politecnico di Milano: in Italia, le startup del settore Fintech ammontano a quasi 300, il 54% dei quali non ha riscontrato effettio negativi dal lockdown e il 19% è riuscita a cogliere nuove opportunità. Anche il Report pubblicato da PWC[1], in cui vengono descritte diverse modalità di integrazione oltre alla già descritta White – Labelling, come Minority Stake, Co-Branding e Referral, porta dei numeri interessanti. L’Italia registra investimenti nel Fintech inferiori rispetto ad altri paesi comparabili (1/3 della Germania e 1/5 degli UK) ma, allo stesso tempo, ha raggiunto negli ultimi anni importanti tappe di ampliamento del settore come con il Canale Fintech della Banca d’Italia, il Fintech District nella sede di Banca Sella e la fondazione di Assofintech.


Sono molteplici gli esempi di banche che hanno adottato softwares in logica white – Label: Unicredit ha investito in una società fintech “Taulia”, Intesa Sanpaolo ha creduto in “Kyriba” mentre Banca Mediolanum ha lanciato la piattaforma Flowe.


Avendo ben chiaro quindi dove si stia muovendo il mercato (automazione di processi per aumentare velocità e facilità di utilizzo), appare più semplice giustificare il tentativo dell’Agenzia delle Entrate di ideare la propria “piattaforma di cessione dei crediti”[2] in cui l’utente può cedere (se ne possiede i requisiti) il proprio credito fiscale e, conseguentemente, accettare un altro credito di cui è cessionario. Il tutto viene seguito dall’integrazione del proprio Cassetto Fiscale in cui il contribuente può tenere traccia di tutti i movimenti effettuati. Una novità importante in un momento in cui i contribuenti si ritrovano a dover gestire molteplici incentivi statali, tra cui il famoso Superbonus.




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